La mia pagina personale nacque nei primi mesi del 2004. Già da un paio d’anni - parliamo dunque di un periodo che va dal 2002 al 2004 -, avevo dato vita a un primo multi-blog,
King Lear Officina Avanguardie. Ho la presunzione di pensare che qualcuno ancora oggi ne abbia memoria: a quel tempo i blog non erano così invadenti come oggi, ce n’erano un numero ristretto e le piattaforme ospitanti non offrivano molti servizi. Si può forse dire che sono stato un pioniere in tal senso, perché per la prima volta ho portato la critica dalle pagine dei giornali cartacei in Rete attraverso un blog. Nel 2000 i lit-blog erano pochissimi: i blogger che scrivevano di cultura erano considerati degli “alienati” o giù di lì, questo perché l’idea dominante era quella che un blog potesse servire soltanto a “fare diario”. Per avere una massiccia diffusione dei lit-blog o sédicenti tali bisognerà aspettare tempi più maturi e per non pochi versi immaturi: oggi che ci stiamo lasciando il 2008 alle spalle, quasi ogni giornalista e scrittore ha una sua pagina personale non statica, che dà la possibilità ai lettori di intervenire con dei commenti. Ieri era impensabile che uno scrittore, o un professionista dell’editoria, si sporcasse le mani in e con Internet: c’era poca fiducia nel mezzo, che era ritenuto inidoneo a promuovere cultura e critica. Oggi invece è impensabile che uno scrittore non abbia una “casa” anche in Rete: chi non ce l’ha si taglia le gambe da solo, perché si perde almeno un 50 % buono di potenziali lettori. King Lear Officina Avanguardie è ancora online, ma non viene più aggiornato: la sua naturale evoluzione è
Jujol.com. La formula è la stessa del vecchio
King Lear, sempre e solo collaboratori ben più che fidati, accordando loro la libertà di postare da sé articoli e segnalazioni; il sottoscritto ovviamente legge tutto quello che viene messo online, quindi è difficile se non impossibile che possa passare qualche contenuto cattivo. Niente marchette né marchettari: su Jujol.com l’idea principe è una e una sola, la diffusione della cultura, sia essa inquadrabile in un contesto di alta Letteratura, sia essa più a portata di mano (parliamo dunque di narrativa, di scrittori di genere).Mi è sembrato giusto parlare, pur solo per pochi accenni, alla mia attività in Rete prima di dare qualche informazione più personale su chi è e chi non è Giuseppe Iannozzi. Amo tutto ciò che è, che fa cultura. La mia formazione è umanistica. Da dieci anni giornalista, porto avanti un discorso di rinnovamento critico in Rete e non, cercando di dar un poco di visibilità agli esordienti e a tutti quegli autori che solitamente l’intellighenzia italiana snobba. In questi anni credo d’aver offerto parecchie vetrine a tanti autori che altrimenti non sarebbero stati presi in considerazione: non so dire se ho contribuito a fare la loro “piccola” fortuna, ma sono convinto che in certi casi la mia critica sincera, lontana da interessi e bugie commerciali, abbia contribuito a fare di molti esordienti delle “piccole” voci di qualità. Il fatto che poi in molti mi abbiano pugnalato alle spalle una volta raggiunta un po’ di visibilità garantita, sinceramente non mi fa né caldo né freddo: era in preventivo sin dall’inizio. “Morte all’alba” è qualcosa per me, non lo nego. Dopo aver dato per tanti anni, mi è sembrato giusto raccogliere alcuni di quelli che ritengo essere dei racconti meritevoli in un’antologia personale. Non mi sono affidato a un editore tradizionale, non ci ho nemmeno provato a presentare “Morte all’alba” a Tizio piuttosto che a Caio, quindi spero che i noiosi e gli invidiosi tacciano e la smettano di aprire la bocca per dire male di me e del perché non ho un editore tradizionale. La raccolta di racconti l’ho curata io e io ho scelto i racconti: nessuno ha fatto pressioni, nessuno ha avuto la possibilità di censurarne i contenuti o di stravolgerli a favore di immonde logiche editoriali.
“Morte all’ alba” raccoglie in forma antologica 29 racconti, tutti sorprendentemente diversi per stile, genere, contenuto. Sembra quasi che tu abbia sentito, da una parte, l’esigenza di accogliere e incontrare i gusti di varie tipologie di lettori; dall’altra quella di assecondare il tuo piacere e anche il tuo divertimento nel comporli, dall’altro ancora che tu abbia voluto dare corso ad un impulso spontaneo, sebbene vi sia in tutti i racconti molta ricercatezza che scaturisce dal tuo ingente bagaglio culturale di critico letterario e, immagino, appassionato lettore da sempre. Mi piacerebbe che ci raccontassi come ha avuto origine, da cosa e con quale finalità, se esiste, la tua ottima silloge.
Una delle priorità di questa raccolta era per l’appunto quella di offrire al lettore una vasta gamma di racconti, di genere e non, scritti secondo stili diversi, spaziando all’interno di temi variegati: ecco dunque il racconto d’amore, quello socio-politico, ma anche la ricerca spirituale, ed ancora un pizzico di sci-fi però di stampo umanistico, un po’ di horror plebeo, miscele avantpop ed erotiche, non dimenticando racconti prettamente bukowskiani e in stile beat (cioè della Beat Generation). In tutto 29 racconti, e posso dire, senza tema di peccare di presunzione, che ognuno di essi è unico per stile e per argomenti affrontati – a muso duro. Io mi sono divertito e non poco mentre li mettevo nero su bianco. Uguale piacere ho provato quando ho dovuto fare la selezione delle storie che sono poi confluite sotto il titolo “Morte all’alba”. E’ questo un atto, per certi versi, egoistico: la raccolta accoglie tanti racconti, ma non c’è un fil rouge che li leghi, se non in rarissimi casi, come per i racconti “Morte all’alba” e “Morte al crepuscolo”, “Reading”, “Cercava Dio” e “La morte del poeta”. Si può dire che se c’è uno spettro, o fantasma o angoscia esistenziale che su tutte le storie aleggia, esso è quello della Morte, alle volte improvvisa, altre ancora programmata ed ineluttabile. Anche i racconti più bukowskiani e beat non offrono possibilità di luce e di redenzione: i personaggi, tutti, sono degli sconfitti, dei borderlines, e in alcuni casi sono dei veri e propri maniaci pericolosi per sé stessi e per la società. Descrivo, attraverso questi personaggi al margine, una società collassata, che è quella attuale: perlomeno io non vedo in questo momento storico motivi di speranza, né vedo la possibilità di un futuro felice per i nostri figli. Ogni racconto è una estrema sintesi, ciò significa che ci sono così tanti spunti che ognuno di essi è potenzialmente del buon materiale per costruirci su un romanzo. Non sono il frutto di un lavoro fatto in velocità: le storie che ho raccolto sono state pensate nell’arco di almeno tre anni, e tutte hanno richiesto un po’ tanto lavoro di cesello. Dei 29 racconti presenti in “Morte all’alba” solo uno, “Estasi”, è stato scritto di getto, nel giro di poco più di trenta minuti.
Una curiosità mi preme a proposito delle modalità e dei tempi della tua scrittura: so che leggi continuamente poiché una delle tue attività è quella di recensire libri per conto delle Case Editrici (a cui non risparmi feroci stroncature, senza alcun riguardo per nomi, mode o poteri forti); inoltre trascorri molto tempo ad informarti su ciò che avviene vicino e lontano da te per scriverne poi sul tuo blog, molto noto e seguito in rete. Oltre a ciò, componi versi appassionati che pubblichi abitualmente sul web e che di recente hai editato. Qual è perciò il rapporto fra la tua scrittura e il tempo? Ovvero quando, in quali momenti sei solito scrivere? Segui un impulso e vai di getto oppure ti imponi una disciplina e ti dedichi al lavoro ogni giorno, in modo metodico?
Non sono una persona metodica. Però quando scrivo preferisco farlo nelle ore crepuscolari, o al mattino o verso l’alba. Le poesie, se così si possono definire, le scrivo invece durante le ore notturne. I 49 racconti di Ernest Hemingway costituiscono per me una pietra miliare della Letteratura, non solo americana: sono una lezione di stile. Ben lontano dalla perfezione di Ernest, mi piace scrivere di primo mattino, quando ho tempo; se invece ho altre incombenze da sbrigare, possono passare anche dei giorni senza che scriva un racconto o altro. Tuttavia ciò non significa che la mia fantasia resti arenata in sé stessa: nella mia testa io scrivo sempre, invento, penso a contenuti e stili, immagino il racconto finito… poi quando ho tempo scrivo. Non di rado mi capita di scrivere con penna e carta alla mano: è ancora oggi la maniera che preferisco per dar corpo alle storie. Gli editor di testo non mi piacciono granché: sono dell’avviso che scrivere a video e scrivere con carta e penna siano due modi molto diversi di affrontare la scrittura, ne consegue che anche i risultati non potranno che essere nettamente diversi.Le storie nascono dall’ispirazione, che non manca mai: la società è ricca di spunti, basta sapersi guardare intorno per avere sottomano qualche cosa che aspetta solo di esser fotografata. Mi guardo intorno, ascolto: non faccio niente più di questo.
“Morte all’alba”prende il nome dal racconto omonimo, mi chiedevo perché, fra i tanti, lo hai scelto per dare il nome alla raccolta. Deduco che abbia un significato particolare per te. Cosa hai voluto comunicare con questa scelta e con un titolo, se vogliamo, forte?
Come ho già spiegato, non c’è un vero e proprio fil rouge che lega i racconti; c’è però uno spettro che su tutti aleggia e che è quello della Morte. La scelta è caduta proprio su questa storia perché, a mio avviso, è una delle più significative della raccolta ed è anche quella dove la morte è presente sia in una dimensione corporale sia in quella spirituale. E’ un racconto-ossessione, scevro di qualsivoglia speranza, a tratti cinico. Si parla del dio Baal, in una proiezione in bilico fra realtà, leggenda e mondo onirico. E’ anche un disegno dell’uomo in chiave nicciana, non a caso F.W. Nietzsche è più volte citato nella trama: se è vero che il racconto è onirico, è altrettanto vero che è uno scavo psicologico profondo in quelle latebre umane - che spesse volte nella vita quotidiana noi tutti ignoriamo per tema di dover fare i conti con il lato oscuro che è presente in noi -, e che attraverso il subconscio ci stimolano day after day ad operare delle scelte o per il Bene o per il Male. Il racconto “Morte all’alba”: sono abbastanza presuntuoso d’immaginare che indirizzi il lettore senz’ombra di dubbio a che cosa andrà incontro leggendolo, niente di edulcorato, solo amare pastiglie.
Una delle battaglie che ti contraddistinguono, in campo editoriale, è quella in favore della buona scrittura. A tuo avviso, infatti, troppo spesso vengono pubblicati lavori di scarsa, se non scarsissima, qualità o comunque destinati a non lasciare alcuna traccia nel patrimonio culturale, nè contemporaneo nè futuro. Spesso ribadisci come la meritocrazia sia merce rara in Italia in tutti gli ambiti, tanto più in quello editoriale, dove si pubblica con editori noti per lo più per conoscenze e raccomandazioni, se non per vere e proprie “Marchette” (parole tue). Mi domando, a questo punto, se la tua scelta dell’ autopubblicazione, attraverso il noto portale “Lulu”, non sia conseguente alla volontà di non soggiacere a tali meccanismi. Cosa puoi dirci in proposito?
Quando si portano avanti delle battaglie in campo editoriale, il combattente, o l’illuso di turno, deve tener presente che in ogni caso, nonostante tutto il valore che saprà dimostrare in battaglia, sarà un combattere sempre e in ogni caso contro i mulini a vento. Credo non sia difficile rendersi conto che dico il vero: leggendo le pagine culturali dei giornali, tutti i libri vengono presentati come dei capolavori contemporanei, con la doppia “C” maiuscola. Di rado un libro viene stroncato e quando sì, si tende a dare la mazzata a un autore pubblicato da un editore (ritenuto) poco importante (che non pesa in maniera forte sul mercato). In Italia c’è il bruttissimo vizio del capolavorismo, ovvero di indicare ogni libro bello e di più. Ci sono poi tanti autori che sono intoccabili, nel senso che non possono essere criticati in maniera negativa: chi fosse tanto stupido da criticare in maniera negativa Antonio Moresco, ad esempio, inevitabilmente attirerebbe su di sé l’ira profonda di quanti si di dicono amici del signor Moresco. In Italia la meritocrazia non esiste, e non solo in campo editoriale e artistico. Si va avanti a raccomandazioni, o per dirla in maniera più esplicita, chi vuole fare strada deve essere disposto a raccogliere marchette e a dar via il didietro senza pensarci su nemmeno un secondo. Se non si dà via il didietro, senza usare il profilattico per giunta, puoi essere anche Gesù Cristo ma in Italia strada non ne farai, non ti sarà concesso neanche di farti crocifiggere sul Golgota. Come ho già accennato, non ci ho provato nemmeno a presentare il mio lavoro a un editore: il motivo è più che mai semplice, l’avrebbe o drasticamente tagliato (censurato) o mi avrebbe mandato a quel paese senza tanti convenevoli.