domenica 15 febbraio 2009

Il giorno della vittoria.

Il giorno della vittoria avrà il colore del cielo sopra Berlino che c' è nella foto?
Un glicine strano, ombreggiato del rosa sporco di un tramonto sereno.

Avrà negli occhi l' oro carico della Nike trionfante e, sotto i calcagni, ogni tonalità oscura che finirà con l' essere sgabello per i piedi?

Il giorno della vittoria avrà forse un odore di aria tersa e la sensazione acquosa di una scia di temporale estivo, fuggito via con il vento appena cambiato.

Avrà la luminosità carica della sabbia che piove dal cielo, quando dall' Africa spira aria di Scirocco.

Avrà il gusto di un bicchiere di vino liquoroso che dà alla testa e il sapore della voglia saziata dopo un' attesa avara.

Il giorno della vittoria arriverà senza preavviso, dopo essere stato cercato instancabilmente con le rughe dei pensieri impresse sulla fronte, il buco dell' assenza nel cuore e le spaccature sulle mani che scavavano nella terra senza trovare.

La sensazione di potere e forza durerà un istante e la tensione alla nuova marcia si farà sentire prima ancora di essere stata cercata.

La felicità sarà dono di memorie solide e scorrerà in occhi capaci di vedere quando sono chiusi.


Mara

(A te che oggi sei felice e mi hai resa felice della tua felicità [e non è neppure la prima volta!!!] )

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domenica 8 febbraio 2009

Il mio primo pezzo per "Officina Sociale".


Miei cari tutti,

a dicembre è iniziata la mia collaborazione con
"Officina Sociale", il giornale del CSV -Centro Servizi al Volontariato- di Taranto.
"Officina" è una rivista mensile ma è anche un laboratorio, una fucina in cui idee e buone pratiche a livello locale hanno spazio e possibilità di trovare espressione.

Il direttore di "Officina", Fulvio Colucci, nota firma della Gazzetta del Mezzogiorno di Taranto e giornalista sensibile alle problematiche sociali e di lavoro, l' ho conosciuto i primi di dicembre.
E' stato un incontro molto bello in cui, sin dalle prime battute e dai primi scambi, è emersa una sintonia di intenti e un' empatia spontanea sfociate in questo inizio di collaborazione che mi auguro vada avanti nel tempo e produca buoni frutti.

Oggi condivido con voi il mio primo pezzo uscito sul numero 1 di gennaio 2009.
E' la storia di Angela, una volontaria dell' Auser di Taranto: settant' anni, una vita di sacrifici e di prove inferte dalla vita ma anche straordinaria capacità di reazione e di amore.

Ho accompagnato il mio direttore nella sua intervista ad Angela per un pezzo uscito poi sulla Gazzetta. Da quell' esperienza di ascolto attivo e partecipe è nato anche il mio articolo per "Officina Sociale".

Vi abbraccio tutti.

Mara

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La preghiera di Angela, aiutare gli altri - Una nuova storia di anziani, povertà e volontariato al servizio di chi è in difficoltà.

Angela ci aspetta, seduta dietro una piccola scrivania. “Venite, sono io”. Sorride, rossetto rosa acceso, come il golf di lana liscia.
Nella piccola stanza dell’Auser dove la incontriamo, ci accoglie e subito racconta: “Aiutare gli altri mi ha salvata dal dolore, quando mio marito dopo 37 anni di matrimonio mi ha lasciata ed è andato via”.
Angela ha 70 anni e vive con la figlia, una donna adulta di più di trent’ anni, separata e senza lavoro. “L’ ho ripresa con me, potevo lasciarla per strada?”. Ma, convivere in una casa di 70 metri quadri, con 800 euro in due è dura. La seconda settimana comincia a salire lungo la spina dorsale una tensione sottile ma strisciante, la terza è il panico, alla quarta si prega e si comprano tonno e patate per sopravvivere”.
Angela tiene la mani giunte, come in un atto di preghiera intima, che forse neppure lei saprebbe esprimere. Le dita affusolate e nodose, le macchie scure che disegnano geografie di una vita esule e densa di ricordi, di emozioni. “Sono calabrese. Vivo qui da quasi quarant’ anni. Dopo il matrimonio ho seguito mio marito che era operaio all’ Ilva”.
“A casa ho le finestre rotte. Entra il freddo e vorrei tanto ripararle, ma non posso. Tiro la cinghia perché preferisco pagare subito le bollette. Guai a tardare, mi sento a disagio”.
Scatolame, pasta in bianco e patate, ecco la dieta della terza e quarta settimana. L’ Italia da cartolina è solo in TV: una maschera sorniona a coprire rughe e lacrime. I poveri non mangiano pesce fresco, non si avvicinano neppure alla frutta e alla verdura, il latte lo bevono ogni tanto e la carne la comprano solo per i figli.
Vivere sembra diventato una corsa ad ostacoli eppure resiste, nelle parole di Angela, nei suoi occhi, la luce della solidarietà, fra la polvere e l’ odore acre dei fumi; fra il cielo di nubi e la pallida luce di questa città.
“Grazie all’Auser assistiamo tanti anziani che sono soli, deboli, abbandonati. Li aiutiamo a sbrigare tutte le piccole incombenze quotidiane: la spesa, i pagamenti. Spesso facciamo solo compagnia, una passeggiata; niente di speciale”. Racconta di un’ anziana diabetica, sola e scarsamente autonoma, che si rivolge al centro anziani ogni giorno, chiedendo l’ assistenza domiciliare, socio-sanitaria, del Comune e dell’Asl. Lei non ha più risposte da darle e soffre per questo.
“Nasce dentro la voglia di aiutare. Fa bene a noi, più che a loro. Glielo ripeto, il volontariato mi ha salvata dalla depressione. Piano, piano, occupandomi di chi stava peggio di me, sono tornata forte. Non ho possibilità di avere aiuti, nè da parte dello Stato, né da parte degli istituti di credito. Non ne ho diritto, purtroppo”. E la Social Card? Oggi anche dieci euro sono qualcosa per chi non ha nulla. Ma a me non spetta, perchè ho la casa e l’ assegno di mio marito. Paradossale, vero?
E’ Angela a raccontarci delle difficoltà, taciute per pudore, di tanti genitori anziani e dei loro figli adulti, costretti a inedite forme di coabitazione, a causa della precarietà del mondo del lavoro giovanile, del caro affitti e della crescita esponenziale delle separazioni, più che mai, oggi, responsabili delle nuove povertà.
“Le persone che assisto si lamentano della solitudine. Soffrono molto di più per l’ abbandono e la mancanza di amore, che per i loro malanni. Mi chiamano ‘il mio angelo’, io non mi sento un angelo, cerco solo di aiutarli a non sentire troppo il dolore per l’ assenza dei loro figli.
Se penso al domani, mi preoccupo per i nostri giovani. Non è un mondo bello in cui vivere.
Un tempo avevamo meno cose ma eravamo più felici. Sapevamo apprezzare quel poco.
Chissà, forse la crisi ci aiuterà a ricominciare da lì”.


Mara

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martedì 3 febbraio 2009

The way we were.

Negli ultimi mesi mi capita di pensarci.
Alla scena di un film.
Audrey Hepburn, alla fermata della corriera, dice addio al passato, ad una parte della sua storia.
Un foulard bianco panna. Enormi occhiali scuri.
E' un momento fugace.
Un artificio di fragilità, la sincera rappresentazione di una realtà falsata, appena prima di riconoscere che:
"Il terribile, Fred caro, è che sono ancora Lullaby... la Lullaby che ruba uova di tacchino e che, appena può, scappa nella prateria... solo che adesso lo chiamo avere le paturnie."

"Come eravamo".
Libere associazioni: la coda dello Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie. Strisce larghe, concentriche, si avvolgono come spire ora visibili, ora no. Si attorcigliano verso un punto finale per poi sciogliersi e riannodarsi ancora in cerca di una lineare configurazione.

Ultimamente faccio i conti con sgomento con la refrattarietà al cambiamento strutturale.

Nonostante sforzi, volontà granitica, azioni di salvataggio di dati utili e di rigetto per ciò che intralcia il nuovo corso, nonostante gli anni e gli ancoraggi più o meno stabili a scogli necessari, la mareggiata erode le rocce lentamente e, a volte, strappa i puntelli all' improvviso, esattamente quando lo ha voluto.

Rilevo, con lo sconcerto del tirocinante davanti ad un microscopio che svela il proliferare di un' epidemia, di non essere cambiata se non nelle minuzie in tutti questi ultimi anni.

Mi domando se sia per mancanza di autentica convinzione.
O perchè la razionale determinazione non basta a ingessare il flusso dell' irrazionale emotivo.
O perchè sono un' irriducibile selvaggia mascherata.

Mara

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