Sete di conoscenza.

Sarò stata mai la bambina dei decisi perchè?
Avranno frullato nella mia testa vaga, amalgami di domande, gruppi di "come", misture di punti interrogativi colorati?
Su due piedi, a occhio e croce, così, dico di no.
E per un attimo ne sono sicura.
Poi però arriva il pesce. Sì, il pesce.
Ed è lui che mi fa abboccare a qualche dubbio...
Quando dico pesce, in realtà, parlo di quello della piazza, la piazza F. del mercato cittadino.
Quel pesce che, al tempo dei miei cinque, sei, otto anni, era esposto sulle bancarelle, estate e inverno, senza ghiaccio, alla faccia di qualunque pulita sterilità.
L' igiene era un lusso per stomaci deboli, evidentemente, e ai rudi pescatori certe mosse dovevano sembrare cose per molli di tempra.
Ad ogni modo, questo pesce, arrivato mezzogiorno, e rimasto invenduto, oggi mi domando che fine facesse, poichè l' odore non era più di mare, ma acido, vicino all' orina, o all' acqua salmastra marcita, quella che sotto il sole, lascia l' alone di sale sugli scogli, dopo la mareggiata di due giorni prima...
Per tornare in tema, senza divagare troppo -cosa assai difficile pensando all' infanzia...-, riporto quello di cui ho scarsa memoria, ossia che, in piazza, il giorno della spesa in cui riuscivo a farmici portare, prima di tornare a casa, quel pesce io lo DOVEVO TOCCARE.
Non c' era verso. Non c' erano colpi sulle dita; rimbrotti; urlatacce; raccomandazioni di sicurezza; occhiate con bulbi sporgenti fuori dalle orbite; niente di niente da fare.
La vista di quei corpi sul legno del bancone mi chiamava cantando verso un punto preciso: l' addome, il ventre liscio argento chiaro, la parte più umile, fragile, debole. Merce esposta.
Quella che sarebbe finita tagliata con forbice per ripulire la cavità dalle viscere.
Proprio la pancia, la pelle sottile, la vulnerabilità nella morte, io volevo sentire al tatto.
Così toccavo.
Se riuscivo a sfuggire per un attimo, prendevo il pesce in mano. Per soppesarlo.
Quanto è il carico, su una piccola mano carnosa, di un pesce misura standard da banco?
L' occhio era acquoso, la bocca aperta, le branchie rosse. Le squame trasparenti e appuntite. Inutili difese.
Nessuna ferita visibile.
Oggi mi intristisce il pensiero di quelle carni molli.
Allora assolutamente no. Nessuna piccola pietà.
Solo la curiosità del toccare con mano.
Così eccoci tornati al punto di partenza. A parlare di curiosità.
Oggi so di per certo di essere una persona assetata di conoscenza e di avere sempre voglia di nuove cose. Non sono mai stanca e cerco, studio, imparo. Conosco e spesso dimentico.
Ho la curiosità non dei perchè ma dei come. Dei come a...
Mi interessa la conoscenza da asservire all' esperienza. L' attività della mente per la produzione del movimento.
Mentre scrivo, mi domando se valga in assoluto, per me, quanto affermo...
Forse.
C' è in me qualcosa per cui la carne aspetta ancora che l' immaginazione si traduca in pressione di un dito sulle squame.
Mara
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