Nuovo appuntamento con "Leggimi nei pensieri".

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Partiamo dal nome: BloRum, ossia Blog+Forum. Ecco, questo è il mio senso: un Blog, un blog lieve, un blog che scivola leggero senza impigliare nessuno nelle reti fitte di pensieri scuri, che non voglio avere, e un Forum che alimenterà il Blog con i vostri di pensieri, cupi se ne avete, o con sogni lieti e vite parche, se vi appartengono...
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Sabato.
Al GAP di Bari.
"GAP" è un acronimo curioso e moderatamente attraente che sta per "Giovani Artisti Pugliesi".
Una rassegna d' arte contemporanea di qualità, under trenta, giunta alla terza edizione; un premio all' ingegno, alla creatività che si fa critica e lettura sensibile della società, esposizione di padronanza del mezzo espressivo più vario e di rottura, specchio di mondi immaginativi e background e storie personalissime, lasciati liberi di fluire e di manifestarsi.
Non sia certo, questo del "Blorum", lo spazio della critica incompetente. E' solo uno spunto la mostra, per pensare ad altro. Per un volo pindarico, per andare oltre, pur restando nel mio. Un tornare indietro con il filo del tempo, per sfiorare un' emozione che ahimè, e chiedo perdono di questo all' artista Agata Difino, ha poco a che fare con la sua opera "My space", un' installazione spettacolare, metafora del valore del vivere, illuminato da piccole , innumerevoli luci, in pochi momenti di enorme buio nero.
Il mio spazio , la mattina di un sabato al GAP, è stata la notte.
L' incontro con la più nera, respingente, spaventosamente vorace, oscurità.
Quel giorno, le luci erano spente.
I mille lampi che avevano la missione di fendere e aprire il buio per far posto all' essenza della vita, simbolo della luce oltre le tenebre, l' intero lavoro di ricerca e riflessione dell' artista, quel giorno, erano fuori servizio. Organizzatori, personale presente o chi altri, non so, avevano spento la luce e la cabina a pannelli di cartongesso che ospitava il gioco di legno, vetro e led luminosi era immersa in una notte nera, senza stelle e luna, sebbene fossimo in una mattina assolata e calda.
Ero lì, davanti alla tenda scura e spessa che copriva l' ingresso della cabina.
Ero lì e ho scostato appena un lembo e messo dentro un pezzetto di testa, giusto per vedere che cosa mi attendeva, una volta dentro.
Mi sentivo incerta, anzi, sconcertata... Non vedevo.
Non vedevo nulla.
Se entrassi -mi dicevo- potrei cadere, sbattere contro qualcosa, essere assalita da creature misteriose, perdere l' orientamento...
In quel momento ero sola.
Per natura io tento. Non mi tiro indietro. Sono maledettamenre curiosa, amo le sfide. Le più piccole come le più ardite. Provo sempre. Ma non sono imprudente, nè incosciente.
E lì non rischiavo nulla, in fondo. Bastava mettere le mani avanti...
La camera è oscura a dir poco. Non vedo sagome nè contorni.
Sono respinta verso l' uscita da questa sensazione opprimente di buio che mi avvolge. Lo sento, lo percepisco, è come un' ombra gonfia che si accomoda attorno a me. Mi mangia i confini.
Gli occhi non sono pronti e l' oscurità resta densa e nera.
Poi, è un attimo, espiro, mi rilasso.
Poco a poco i toni del grigio si tendono nelle loro maglie fitte e distinguo le forme in cui sono immersa. C' è uno specchio, è alla mia sinistra. Mi avvicino, troppo, quasi ci attacco la fronte su, voglio vedermi, voglio vedere il mio viso... Niente.
Solo una linea accennata della bocca. Nient' altro.
Mi giro attorno, allungo in avanti le braccia; le allargo, ho spazio. Sto bene.
Mi sento molto bene.
Scorgo una sedia in un angolo. In questo momento ho voglia di restare qui. Mi siedo.
E' davvero sorprendente, ora vedo. Il buio è diventato una dimensione sospesa. Intensa. Di nudità.
Accanto al buio si è posizionato un silenzio irreale. Posso pensare, è uno spazio, il mio, di solitudine interrotta solo dal circolo dei miei pensieri e dalla pace dello straniamento che diventa dimensione di riposo e quiete, che giunge ad interrompere la giostra del quotidiano.
Penso che vorrei restare. Non uscire più.
Qualche giorno più tardi, parlando con Gabriele Benefico, un artista di grande ispirazione, contemporaneità e impatto visivo, le cui opere esposte al GAP mi avevano attirata lì, ho scoperto che l' installazione "My Space" io non l' avevo vista. Tutto era spento, non c' era l' opera, era stata dismessa...
Sono rimasta a pensarci... Quel buio a me aveva detto tanto.
Ogni tanto ho davvero bisogno, come tanti, di silenzio.
E di tenere gli occhi chiusi. Con due mani sopra, a impedirmi di riaprirli.
Mara
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Carissimi,
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