domenica 26 luglio 2009

Trasloco.

Miei cari,

mi accorgo oggi che l' ultimo post che ho scritto risale al 5 maggio.
Lo ammetto, non posso più negarlo, è il momento di cambiare casa e portare il mio Blorum assieme a me, dove sono ora.

Cercate lì, leggetemi lì: Facebook-Mara Venuto.

Una richiesta di amicizia e ci siamo.
Ma vi prego di una cosa: aggiungeteci due righe, fatemi sapere che ci siamo conosciuti qui.

Non è un addio.


Mara

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martedì 5 maggio 2009

Una storia di guerra - Gipi, “Appunti per una storia di guerra”.

Ventidue luglio, stazione Tiburtina, Roma.

Un’ ora di tempo. L’ autobus che scenderà nel cuore del Sud arroventato concede minuti oziosi e la ragazza in attesa non ha voglia di caffè.
Ha bisogno invece di un manuale ben preciso e la porta a vetri della libreria della stazione sembra saperlo: le si è appena aperta davanti, per via di una fotocellula troppo sensibile.
La ragazza entra con le idee chiare e l’ orario di partenza nella testa. Non sa ancora che uscirà da lì correndo, in ritardo, stringendo due libri sotto il braccio di cui ignorava l’ esistenza: uno è “Appunti per una storia di guerra”, racconto lungo su tavole acquerellate, di un artista delle storie per immagini, Gianni Pacinotti, conosciuto con il nome di Gipi.

...

Otto agosto duemilaotto, Pechino.
Numero magico, tripudio di “otto”, cieli e congiunzioni astrali propizie, cerimonia di apertura dei XXIX Giochi Olimpici.
Eccitazione, fremiti, trionfo di colori ed effetti speciali, coreografie infallibili di figuranti che appaiono lontani dall’ imperfezione umana. Fuochi fatui e pirotecniche evoluzioni nel cielo di una città lontana dalla comune idea di confini e dimensioni di una popolazione urbana.
Tutto programmato, tutto deciso, tutto organizzato, l’ enorme macchina sovrastante macina velleità indesiderate e dà prova di meraviglie senza pari. Le bocche sono aperte, è andato tutto come doveva.

Otto agosto duemilaotto, Tskhinvali, capitale dell’ Ossezia del Sud.
Inferno.
Missili da aerei appiccano incendi. Bombe cadono e devastano case, palazzi, monumenti, strade.
Folle in dispersione scomposta cercano rifugio e riparo, fuggono. Ovunque orrori inattesi, fuoco, fragore, lutti, carni straziate. Carri armati, divise e caschi, mitragliette, munizioni, fronti aggrottate, nessuna pietà per il nemico. Solo sangue, urla, disperazione, terrore. La terra non trema ma è capovolta lo stesso.
Mille e quattrocento morti. Sono le famiglie a piangere questi numeri.

Otto agosto duemilaotto, Taranto.
Poche ore di tempo ancora, poi la partenza. Ferie brevi, quest’ anno, fedeli al bisogno di quiete, di riposo. Il cielo è limpido, le poche nubi isolate, senza forza nè convinzione, seguono le deboli correnti che proteggono il bel tempo di agosto. La ragazza siede in un tavolino all’aperto di una gelateria fuori mano. Un’ aria lieve le scompiglia i capelli. Alcuni cani, in lontananza, avanzano in un piccolo branco dietro all’ unico capo. Si sente bene.
Gode dei colori del tramonto e pensa che colui che ama sta tornando da lei.

...

“Appunti per una storia di guerra” nasce attorno ad una domanda semplice: quanto devono scoppiare vicino a noi le bombe per farci sentire che una guerra è nostra? Fino a quale distanza devono raggiungerci l’ eco della morte, della distruzione, i bagliori dei missili nel cielo, la fame, la carenza di acqua, medicine, di sicurezza, per farci dire che siamo in guerra?
Cosa fa sì che leggiamo sui giornali di invasioni, carri armati, carneficine di cittadini comuni, studenti, uomini, donne, come noi, senza che ci nasca dentro altro che una fugace indignazione, un debole choc e, per contro, invece, tanta rapida voglia di voltare pagina e tornare alla nostra vita?

Lo spunto di “Appunti per una storia di guerra” è questo. Il romanzo è molto altro da ciò.
Un racconto corale di fragili giovinezze smarrite, storia amara e dolente della confusa ricerca di un senso e di legami inscindibili in cui finalmente trovare riposo e sicurezza. E’ la lotta per la libertà dall’ infanzia e dall’ incoscienza; l’ affermazione feroce della propria identità, la violenza di ragazzi non ancora uomini alla ricerca del proprio ruolo in un gruppo, incontri di fragilità che si preparano alla battaglia della vita.
I protagonisti degli “Appunti” di Gipi sono ragazzi ordinari nella loro esperienza di marginalità e solitudine. Seguiti, con occhio mai distaccato, nella lotta per una debole sopravvivenza, in mezzo a pericoli, violenze e aggressioni. In un percorso di cambiamento che li vedrà via via mangiati dal veleno della sopraffazione, un morso per volta; li mostrerà destinati, loro malgrado, a smarrire innocenza, lealtà a sè e agli altri; li seguirà mentre perdono ogni remora, nel fuoco di una guerra che annienta e deturpa qualunque forma di umanità.

Gipi racconta la mostruosità generata dalla guerra nell’ uomo ma anche, e forse soprattutto, la crudeltà del crescere troppo in fretta, la durezza della vita adulta; lo smarrimento nell’ assenza di parole che fungano da guida, di mani che si tendano in aiuto, di occhi partecipi e nidi protettivi cui tornare dopo aver cercato sè stessi anche attraverso la rottura di ogni alleanza, la rinuncia alla saggezza o all’ equità. La guerra di Gipi è lo scenario in cui si dispiega la metafora della battaglia dolorosa, e mai priva di vittime, della ricerca di sè. La violenza che si origina, spesso inaspettatamente, nella fatica di trovare sè stessi fra le rovine e la distruzione di ciò che viene sacrificato. E che non tutti hanno occasione di poter ritrovare e recuperare, come parti di sè da reintegrare, a conflitto sanato.

I giovani personaggi che animano il romanzo a fumetti di Gipi sono in guerra. L’ autore no, ed è solo lui a porsi l’ interogativo che ha dato vita al romanzo, ossia perchè è così difficile per noi che siamo nati, cresciuti, educati, alla cultura della pace, sentir parlare di guerra, volerla vivere almeno con il sentimento della partecipazione emozionale. Perchè è così arduo percepire i conflitti attorno a noi come nostri, in quanto rapina di vite, sogni, progetti, rovina di semplice quotidianità di nostri simili, che definire fratelli, oggi, suona quasi ridicolo?
Quand’ è che si è perso questo sentimento di fratellanza e di prossimità? Quando è cominciata la solitudine nell’ esperienza di vita contemporanea? Per quale ragione non sentiamo più alcun afflato verso chi è poco distante dai nostri occhi, celato alla nostra vista magari solo dietro una porta dirimpetto alla nostra, sullo stesso piano del medesimo palazzo?

Gipi non ha alcun interesse a scrivere best seller di sociologia moderna, nè saggi di psicologia di comunità.
Io non ho alcun interesse a scrivere best seller di sociologia moderna, nè saggi di psicologia di comunità.

Non serve qui. Non è richiesto.

“Appunti” parte da una sensazione di sconcerto e va oltre. Sceglie di raccontare, non di indagare cause o ricercare perchè. Niente risposte preconfezionate. Nessuna personale interpretazione che travalichi la sensibilià e la coscienza di ciascun lettore.

Gipi ha aperto solo un interrogativo, sul finire di luglio, nel corso del viaggio silenzioso di una ragazza su di un autobus deserto.
Interrogativo che, nel giorno della festa, del trionfo, del fasto dell’ apertura di Pechino 2008, e nel riposo a migliaia di chilometri della stessa ragazza seduta a mangiare un gelato, l’ invasione dell’ Ossezia del Sud, ha risvegliato.
Legando un momento della storia comune e un altro personale al destino dolente di un popolo in guerra, la cui sofferenza appartiene a tutti, in quanto tutti esseri umani.


Mara

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sabato 25 aprile 2009

Leoni in uomini.

Il sogno dei leoni che divennero uomini ha viaggiato fra il suono invadente di un telefono scarico e la ripresa lucida della coscienza addormentata.

Il tempo si è disteso come coperta corta rimboccata.
E' sembrato un arco di storia lungo una mareggiata che trascina e rincalza, ma non passa invano.
I detriti spiaggiati confondono mondi diversi su angoli opposti, rivelano racconti che odorano di case e vite e uomini in carne e ossa.

La gabbia era un rettangolo di sbarre ravvicinate.
I leoni, cuccioli senza criniera.
A quattro a quattro hanno percorso passi millimetrici ansimando un nervosismo di crescita e fuga.

Poi sono diventati adulti.
Senza il tempo di capire come, nè di smascherare, ridendo, il trucco del mago nascosto dietro un qualche stipite di scenografie teatrali ben fatte.

I leoni hanno ora criniere folte che tingono di ocra i colori smorti dello spazio del sogno. Negli occhi sono dipinti violenti orizzonti e scenari di battaglia.
Una spirale di fiere libere dalla prigione si avvolgono attorno alla preda e preparano l' attacco, legando la fame con la sola catena dell' attesa propizia.

Il capo branco si fa avanti per primo e nel balzo predatorio, per dissoluzione, diventa un uomo.
Si scioglie la criniera e si erigono in un corpo dritto i muscoli massicci e distesi sulla terra.
L' immagine onirica fa il vuoto al dubbio dell' impossibile. Le nuove sembianze sono immagini già entrate nel flusso della storia senza che il come trovi la sua dimensione.

La vittima del leone dissolve rapidamente l' odore della morte avvertendo il potere sulla nuova carne.
Un muro alle spalle travalica il suo senso di ineluttabilità per divenire comodo rifugio oltre il gelo del dubbio e della paura.
Esiste un potere più grande.

Essere uomini non salva.


Mara

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giovedì 16 aprile 2009

Amnèsia.

Amnesia.
Vuoto d' aria.
Testa nella boccia del pesce rosso.
La bocca attaccata al fondo concavo per ingoiare la piccola bolla di aria superstite.

Che mese è?
Il filo della trottola magica dell' orologiaio del tempo si deve essere annodato.
I minuti, le ore, i giorni, i mesi, devono aver lanciato le loro sfere, in quella buca chiamata calendario, mancandola.
Oppure si devono esser fermate lungo la strada, per colpa dell' attrito da terriccio non rimosso.

Amnesia.
Che mese è? Il vento di aprile fruscia come la crepe dell' abito da sposa di una donna prudente. Disteso, dall' involto che era, nel baule dei ricordi.

Che tempo è stato?
Felice come la memoria del carillon nella stanza dei giochi. Rovinoso come i mulinelli della torbida acqua di un fiumiciattolo nascosto. Luminoso come lanterne che spezzano il buio di un luogo sconosciuto. Sabbioso come arenile che filtra tra le dita graffiandone l' incavo.

Spuntano gli occhi della bambina dal lenzuolo candido dell' estate.
Ci riprova con desiderio. Fa troppo caldo là sotto.
Ma il minuscolo potente gela dallo spavento e al primo ronzio sottile dell' infida zanzara d' acqua, flebile come il cigolio del triciclo di uno gnomo, la testa sarà di nuovo sotto.

Mara

(Felice di essere di nuovo qui! : D )

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domenica 15 febbraio 2009

Il giorno della vittoria.

Il giorno della vittoria avrà il colore del cielo sopra Berlino che c' è nella foto?
Un glicine strano, ombreggiato del rosa sporco di un tramonto sereno.

Avrà negli occhi l' oro carico della Nike trionfante e, sotto i calcagni, ogni tonalità oscura che finirà con l' essere sgabello per i piedi?

Il giorno della vittoria avrà forse un odore di aria tersa e la sensazione acquosa di una scia di temporale estivo, fuggito via con il vento appena cambiato.

Avrà la luminosità carica della sabbia che piove dal cielo, quando dall' Africa spira aria di Scirocco.

Avrà il gusto di un bicchiere di vino liquoroso che dà alla testa e il sapore della voglia saziata dopo un' attesa avara.

Il giorno della vittoria arriverà senza preavviso, dopo essere stato cercato instancabilmente con le rughe dei pensieri impresse sulla fronte, il buco dell' assenza nel cuore e le spaccature sulle mani che scavavano nella terra senza trovare.

La sensazione di potere e forza durerà un istante e la tensione alla nuova marcia si farà sentire prima ancora di essere stata cercata.

La felicità sarà dono di memorie solide e scorrerà in occhi capaci di vedere quando sono chiusi.


Mara

(A te che oggi sei felice e mi hai resa felice della tua felicità [e non è neppure la prima volta!!!] )

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domenica 8 febbraio 2009

Il mio primo pezzo per "Officina Sociale".


Miei cari tutti,

a dicembre è iniziata la mia collaborazione con
"Officina Sociale", il giornale del CSV -Centro Servizi al Volontariato- di Taranto.
"Officina" è una rivista mensile ma è anche un laboratorio, una fucina in cui idee e buone pratiche a livello locale hanno spazio e possibilità di trovare espressione.

Il direttore di "Officina", Fulvio Colucci, nota firma della Gazzetta del Mezzogiorno di Taranto e giornalista sensibile alle problematiche sociali e di lavoro, l' ho conosciuto i primi di dicembre.
E' stato un incontro molto bello in cui, sin dalle prime battute e dai primi scambi, è emersa una sintonia di intenti e un' empatia spontanea sfociate in questo inizio di collaborazione che mi auguro vada avanti nel tempo e produca buoni frutti.

Oggi condivido con voi il mio primo pezzo uscito sul numero 1 di gennaio 2009.
E' la storia di Angela, una volontaria dell' Auser di Taranto: settant' anni, una vita di sacrifici e di prove inferte dalla vita ma anche straordinaria capacità di reazione e di amore.

Ho accompagnato il mio direttore nella sua intervista ad Angela per un pezzo uscito poi sulla Gazzetta. Da quell' esperienza di ascolto attivo e partecipe è nato anche il mio articolo per "Officina Sociale".

Vi abbraccio tutti.

Mara

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La preghiera di Angela, aiutare gli altri - Una nuova storia di anziani, povertà e volontariato al servizio di chi è in difficoltà.

Angela ci aspetta, seduta dietro una piccola scrivania. “Venite, sono io”. Sorride, rossetto rosa acceso, come il golf di lana liscia.
Nella piccola stanza dell’Auser dove la incontriamo, ci accoglie e subito racconta: “Aiutare gli altri mi ha salvata dal dolore, quando mio marito dopo 37 anni di matrimonio mi ha lasciata ed è andato via”.
Angela ha 70 anni e vive con la figlia, una donna adulta di più di trent’ anni, separata e senza lavoro. “L’ ho ripresa con me, potevo lasciarla per strada?”. Ma, convivere in una casa di 70 metri quadri, con 800 euro in due è dura. La seconda settimana comincia a salire lungo la spina dorsale una tensione sottile ma strisciante, la terza è il panico, alla quarta si prega e si comprano tonno e patate per sopravvivere”.
Angela tiene la mani giunte, come in un atto di preghiera intima, che forse neppure lei saprebbe esprimere. Le dita affusolate e nodose, le macchie scure che disegnano geografie di una vita esule e densa di ricordi, di emozioni. “Sono calabrese. Vivo qui da quasi quarant’ anni. Dopo il matrimonio ho seguito mio marito che era operaio all’ Ilva”.
“A casa ho le finestre rotte. Entra il freddo e vorrei tanto ripararle, ma non posso. Tiro la cinghia perché preferisco pagare subito le bollette. Guai a tardare, mi sento a disagio”.
Scatolame, pasta in bianco e patate, ecco la dieta della terza e quarta settimana. L’ Italia da cartolina è solo in TV: una maschera sorniona a coprire rughe e lacrime. I poveri non mangiano pesce fresco, non si avvicinano neppure alla frutta e alla verdura, il latte lo bevono ogni tanto e la carne la comprano solo per i figli.
Vivere sembra diventato una corsa ad ostacoli eppure resiste, nelle parole di Angela, nei suoi occhi, la luce della solidarietà, fra la polvere e l’ odore acre dei fumi; fra il cielo di nubi e la pallida luce di questa città.
“Grazie all’Auser assistiamo tanti anziani che sono soli, deboli, abbandonati. Li aiutiamo a sbrigare tutte le piccole incombenze quotidiane: la spesa, i pagamenti. Spesso facciamo solo compagnia, una passeggiata; niente di speciale”. Racconta di un’ anziana diabetica, sola e scarsamente autonoma, che si rivolge al centro anziani ogni giorno, chiedendo l’ assistenza domiciliare, socio-sanitaria, del Comune e dell’Asl. Lei non ha più risposte da darle e soffre per questo.
“Nasce dentro la voglia di aiutare. Fa bene a noi, più che a loro. Glielo ripeto, il volontariato mi ha salvata dalla depressione. Piano, piano, occupandomi di chi stava peggio di me, sono tornata forte. Non ho possibilità di avere aiuti, nè da parte dello Stato, né da parte degli istituti di credito. Non ne ho diritto, purtroppo”. E la Social Card? Oggi anche dieci euro sono qualcosa per chi non ha nulla. Ma a me non spetta, perchè ho la casa e l’ assegno di mio marito. Paradossale, vero?
E’ Angela a raccontarci delle difficoltà, taciute per pudore, di tanti genitori anziani e dei loro figli adulti, costretti a inedite forme di coabitazione, a causa della precarietà del mondo del lavoro giovanile, del caro affitti e della crescita esponenziale delle separazioni, più che mai, oggi, responsabili delle nuove povertà.
“Le persone che assisto si lamentano della solitudine. Soffrono molto di più per l’ abbandono e la mancanza di amore, che per i loro malanni. Mi chiamano ‘il mio angelo’, io non mi sento un angelo, cerco solo di aiutarli a non sentire troppo il dolore per l’ assenza dei loro figli.
Se penso al domani, mi preoccupo per i nostri giovani. Non è un mondo bello in cui vivere.
Un tempo avevamo meno cose ma eravamo più felici. Sapevamo apprezzare quel poco.
Chissà, forse la crisi ci aiuterà a ricominciare da lì”.


Mara

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